Le previsioni della domanda indicano una crescita nei prossimi anni. Ma l’industria di diamanti si prepara ad una gara con un nuovo sfidante, in grado di colpirne l’identità e di distorcerne l’essenza stessa, il “diamante sintetico”. Tutti noi ci chiediamo chi prevarrà in questa contesa.
Ormai i numeri indicano il decollo dei sintetici. Da US$150 milioni del 2017 si passerà ad un giro d’affari di US$1,05 miliardi nel 2020. Oltre ai numeri sorprendono i fatti, De Beers entra in questo mercato prima proibito, Swarovski produrrà le sue linee con i diamanti sintetici. Ma parliamo davvero dello stesso prodotto? Vediamo meglio chi sono gli sfidanti.
Il diamante naturale è un minerale, puro carbonio cristallizzato in struttura cubica con sistema isometrico. Si è formato miliardi di anni fa a grandi profondità, raggiungendo la superficie terrestre grazie ad attività vulcaniche. Il diamante sintetico cristallizza artificialmente attraverso tecnologie sviluppate dall’uomo per usi industriali (colorazioni scure e non attraenti) sin dagli anni 50. Da qualche anno in laboratorio, e in processi relativamente di pochi giorni, si ottengono cristalli di ottimo colore con due procedure tipiche, HPHT (alta pressione alta temperatura) e CVD (deposito di carbonio chimico). Queste due tecniche usano ambienti e modalità di crescita del cristallo differenti tra loro a livello chimico. Entrambe ovviamente mostrano differenze con i naturali. Sono queste differenze a rendere oggi possibile, ma non sempre semplice, il riconoscimento dei sintetici.
Certo, questo avanzamento tecnologico alla fine ci permette di affermare che i diamanti naturali ed i sintetici possiedono (quasi) la stessa carta di identità chimica e fisica. Ma nella percezione del consumatore questa identità, come prodotto, non c’è. Infatti quando si compra un diamante ci si aspetta di ottenere un miracolo della natura, uno status symbol, raro, prezioso, eterno, fortemente emozionale, con una grande tradizione di serietà nelle diverse fasi dall’estrazione, al taglio fino alla distribuzione. E con un indotto alle spalle che procura impiego a milioni di persone, portando reddito anche in aree remote e svantaggiate.
Quando si acquista un diamante sintetico si entra invece in un mondo opposto, il mondo della riproducibilità industriale, un mondo che esiste allo scopo preciso di aumentare le quantità prodotte, riducendo i costi. Ed infatti la discesa dei prezzi dei diamanti sintetici HPHT è già un fenomeno evidente. A parte le motivazioni (discutibili) sulla presunta migliore sostenibilità ambientale, i sintetici possono dire la loro sul mercato, avvicinando i giovanissimi consumatori al mondo della gioielleria. Un domani poi, magari, questi potranno riconsiderare i diamanti naturali quando si raggiungeranno nella vita le tappe della maturità, appagandosi con un bene durevole.
De Beers è il primo grande player a intervenire. Ha accantonato il problema dell’identità, relegandola alla chimica. Producendoli entrambi, naturali e sintetici, De Beers praticherà di fatto strategie opposte per due prodotti che vuole chiaramente mostrare diversi. Ciò in fondo potrebbe portare anche benefici al mercato del diamante naturale. Il marketing dei sintetici, per contrasto con i naturali, farà risaltare le caratteristiche di rarità di questi ultimi e ne consoliderà il valore, in particolare per alcune misure.
Conclusione. State pensando di vendere diamanti sintetici, data la nascente richiesta del mercato? Volete offrire un’alternativa più economica? Va bene, ma fatelo con la massima chiarezza e trasparenza terminologica, evitate descrizioni fuorvianti, non approfittate della disinformazione di chi è sempre alla ricerca dell’affare a tutti i costi. Il gioco ormai consiste nella capacità di separare nettamente i due prodotti e di offrire certezze. Quindi si dovrà sempre di più insistere sulle certificazioni più autorevoli, accettate dalla catena distributiva. Ma gli operatori dovranno migliorare anche la propria formazione per essere in grado di valutare l’integrità dei propri fornitori controllando l’aggiornamento delle dotazioni strumentali usate per il riconoscimento. Ne va della credibilità dell’intero comparto.
Di Sergio Sorrentino, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 5, Autunno 2018.
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